(Il testo riportato non riveste carattere di
ufficialità)
sul
ricorso n. 6958 del 1999, proposto dall’Ordine degli Architetti di Firenze e
Prato, rappresentato e difeso dagli avv.ti Fabio Lorenzoni e Pier Matteo
Lucibello, elettivamente domiciliato in Roma, via del Viminale 43 presso lo
studio del primo
contro
il
Comune di Firenze, rappresentato e difeso dagli avv.ti Maria Athena Lorizio e
Claudio Visciola, ed elettivamente domiciliata in Roma, Via Via Dora 1, presso
lo studio del primo.
per
l’annullamento
della
sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana, Sez. II, 22
ottobre 1998 n. 930, resa tra le parti.
Visto
il ricorso con i relativi allegati;
Visto
l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Firenze;
Viste
le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
Visti
gli atti tutti della causa;
Relatore
alla pubblica udienza del 19 giugno 2001 il consigliere Marzio Branca, e uditi
gli avv.ti Loria, su delega dell’avv. Lorenzoni per l’Ordine degli Architetti e
l’avv. Lorizio per il Comune di Firenze.
Visto
il dispositivo della decisione n. 346 del 23 giugno 2001.
Ritenuto
in fatto e considerato in diritto quanto segue.
Con la sentenza in epigrafe è stato dichiarato
inammissibile il ricorso proposto dall’Ordine degli Architetti di Firenze e
Prato per ottenere l’annullamento della gara bandita dal Comune di Firenze per
il conferimento dell’incarico di progettazione esecutiva per la realizzazione
di un centro culturale in Firenze.
Gli appellanti lamentavano che il provvedimento,
prevedendo l’attribuzione di punteggio, fra l’altro, per il maggior ribasso
rispetto al prezzo indicato il L. 290 milioni, arrecava lesione al decoro ed al
prestigio dei professionisti partecipanti alla gara, costringendoli a
contendere tra loro per ottenere l’incarico.
Il TAR ha ritenuto che l’Ordine è legittimato a
tutelare in giudizio posizioni soggettive proprie e quelle della categoria nel
suo complesso, non invece gli interessi di singoli partecipanti ad una
procedura concorsuale.
Avverso la decisione l’Ordine degli Architetti di
Firenze e Prato ha proposto appello sostenendone l’erroneità e riproponendo i
motivi di impugnativa dedotti in prime cure.
Il
Comune di Firenze di è costituito in giudizio chiedendo il rigetto del gravame.
Alla
pubblica udienza del 19 giungo 2001 la causa veniva trattenuta in decisione.
Con la sentenza appellata è stato ritenuto il
difetto di legittimazione dell’Ordine degli architetti a proporre ricorso
giurisdizionale volto all’annullamento del bando comunale per l’affidamento
della progettazione esecutiva di un’opera pubblica, considerato lesivo del
decoro della categoria, in quanto tra i criteri di valutazione dei progetti
figurava l’attribuzione di punteggio, nella misura del 30%, al prezzo richiesto
dal concorrente.
L’Ordine appellante ha ritenuto erronea la decisione
facendo leva sull’indirizzo giurisprudenziale che ha riconosciuto agli ordini
professionali il compito di tutelare anche in giudizio la professionalità e
l’immagine della categoria (Cons. St. Sez. IV, 7 ottobre 1993, n. 849; Sez. V, 3 giugno 1996, n. 624).
A tale riguardo, il Collegio ritiene che il detto
indirizzo, se pure non sia da accogliere nella sua assolutezza (vedi infatti,
in senso contrario, Sez. IV, 23 ottobre 1998 n. 1378), vada nella sostanza
confermato, nel senso che, quando sia effettivamente riconoscibile nel
provvedimento amministrativo una capacità lesiva di interessi unitari della
categoria, l’Ente esponenziale della medesima sia legittimato a far valere in
giudizio anche ragioni ed interessi che non si riferiscano alle attribuzioni
proprie dell’Ordine come soggetto.
Non di meno, in conformità ai principi generali
della tutela giurisdizionale, condizione e fondamento della legittimazione non
può che essere l’effettività della lesione e la correlata idoneità del giudizio
ad arrecare un reale vantaggio al ricorrente, consistente, appunto,
nell’eliminazione del pregiudizio lamentato.
Nella specie, come accennato, la pretesa alla tutela
da parte di un Ordine professionale si giustificherebbe con la denunciata
lesività, per il decoro ed il prestigio della categoria, di una clausola del
bando che introduce, tra gli elementi di valutazione del progetto, il prezzo
praticato dal professionista, assumendosi che in tal modo gli architetti
sarebbero costretti a contendere tra loro con offerte al ribasso per strappare
un incarico.
Ritiene il Collegio che una pretesa siffatta non
possa essere rappresenta come un interesse riconosciuto meritevole di
tutela da parte dell’ordinamento, e che, pertanto, non sussista nella specie
nessuna lesione giuridicamente rilevante, suscettibile di fondare la
legittimazione all’impugnazione.
Va precisato che ai fini della sussistenza della
lesione del prestigio e del decoro della categoria, non viene in
considerazione, in quanto attinente al merito del giudizio, l’eventuale
illegittimità della denunciata clausola del bando per violazione di puntuali
proposizioni normative, come, secondo l’assunto, la legge n. 216 del 1995, che
escluderebbe la applicabilità agli incarichi di progettazione di importo
stimato inferiore a 200.000 ECU del d.lgs. n. 157 del 1995.
Occorre invece stabilire se possa considerarsi
lesiva di quel particolare interesse che l’Ordine appellante ha inteso (ed è
legittimato a) tutelare una disposizione di gara che attribuisca al compenso
richiesto dal professionista un peso nella scelta dell’offerta più conveniente
che l’Amministrazione deve compiere.
Il
quesito va risolto in senso negativo.
E’ da escludere, infatti, che possa ritenersi lesivo
del predetto interesse l’adozione di un criterio di scelta che costituisce
espressione di principi pacificamente accolti dall’ordinamento.
Tra questi è certamente da annoverare il principio
della libera concorrenza enunciato dagli artt. 81 e 82 del Trattato dell’Unione
Europea, il quale, secondo la pluridecennale giurisprudenza della Corte di
Giustizia e dei giudici nazionali regola il libero svolgimento delle attività
economiche, e quindi la produzione dei beni e dei servizi.
L’ordinamento italiano ha dato attuazione a tali
principi con la legge n. 287 del 1990, secondo una disciplina dalla quale,
mediante la previsione di divieti di intese e di abusi, emerge palesemente come
il prezzo del prodotto offerto rappresenti lo strumento essenziale della
corretta competizione concorrenziale.
La giurisprudenza amministrativa ha anche affermato
che gli esercenti delle professioni intellettuali sono da considerare
imprese ai fini specifici della tutela della libera concorrenza in quanto
la loro attività consiste nell’offerta sul mercato di prestazioni suscettibili
di valutazione economica e di acquisto delle stesse dietro corrispettivo,
riconoscendosi conseguentemente il potere dell’Autorità Garante del settore di
sottoporre ad indagine le condotte delle diverse categorie di professionisti,
unitariamente considerate (T.A.R. Lazio, Sez. I, 28 gennaio 2000, n.466).
In base alla legge generale sui lavori pubblici 11 febbraio
1994 n. 109, e successive modificazioni l’Amministrazione è tenuta alla scelta
dell’offerta più vantaggiosa, nell’individuazione della quale il prezzo
dell’opera assume indiscutibile rilievo.
Anche nello specifico settore dell’attività di
progettazione l’elemento del prezzo dell’offerta ha una precisa rilevanza.
L’art. 17 della legge predetta, infatti, lo contempla espressamente, mediante
il rinvio al d.lgs. n. 157 del 1995, per gli incarichi di importo superiore a
200.000 ECU, mentre per quelli di importo inferiore, nel dettare i criteri
direttivi per il regolamento sulle modalità di aggiudicazione, impone il
contemperamento dei principi generali di trasparenza e buon andamento con
l’esigenza di garantire la proporzionalità tra le modalità procedurali e il
corrispettivo dell’incarico.
Ed infatti, il detto Regolamento, approvato con
D.P.R. 21 dicembre 1999, n. 554, bensì posteriore alla vicenda in esame,
prevede puntualmente, all’art. 64, che, nelle gare per progettazioni relative a
importi inferiori ai 200.000 EURO DSP, la presentazione di una offerta
economica, modulata su ribassi percentuali dei compensi delle prestazioni
professionali previsti nel bando.
In conclusione, il Collegio ritiene che il
complessivo contesto ordinamentale contemplasse ampiamente, già prima della
normativa da ultimo citata, la possibilità di includere il prezzo tra i criteri
cui ispirare la scelta, senza che, per tale ragione, possa anche solo
adombrarsi una lesione del prestigio e della dignità di una categoria di professionisti.
Ne
risulta pertanto confermato il difetto di legittimazione a ricorrere da parte
dell’Ordine appellante.
L’appello
va quindi respinto, ma le spese possono essere compensate
P.Q.M.
Il
Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quinta, respinge l’appello
in epigrafe; dispone la compensazione delle spese; ordina che la presente
sentenza sia eseguita dall’Autorità Amministrativa.
Così
deciso in Roma, nella camera di consiglio del 19 giugno 2001 con l’intervento
dei magistrati:
Pasquale
de Lise (Presidente)
Andrea
Camera (Consigliere)
Giorgio
Trovato (Consigliere)
Filoreto
D’Agostino (Consigliere)
Marzio
Branca (Consigliere estensore).
(Depositata
in segreteria l’1 ottobre 2001)